Viste da dentro

Giudecca

Quali riflessioni ed emozioni ci hanno accompagnato nella visita al Padiglione della Santa Sede, presso la Casa di reclusione femminile della Giudecca, a Venezia?

Nell’ambito della Biennale di Venezia 2024 – STRANIERI OVUNQUE – questa ‘digressione’ nell’isola piena di storie di emarginazione, lavoro e arte ci induce a pensare a cosa ci faccia una mostra artistica conficcata come un chiodo nel palmo della mano di un carcere. 

CON I MIEI OCCHI – è la tematica dell’esposizione artistica, mutuata da una poesia di Shakespeare: come toccare con lo sguardo e mettere insieme vista e percezione.

La presenza di nove grandi artisti la completa: Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, Claire Tabouret.

E’ difficile descrivere le immagini e le opere viste: ci accolgono tra la facciata della cappella del carcere e le porte ferrugginose dell’entrata nella struttura penitenziaria, a fianco di un suggestivo canale, gli evocativi piedi di Maurizio Cattelan: piedi stanchi, feriti e sporchi che hanno attraversato strade impervie.  

Suggestivi i coloriti fardelli di tele di Sonia Gomes che, per guardarli, si deve alzare lo sguardo verso il cielo; o i cartelloni /manifesti colorati, con sapiente invito alla consapevolezza di Corita Kent, un’artista ex-suora.

Piene di vita, solitudine e speranza le lastre di lava di Simone Fattal dove sono trascritte poesie di alcune detenute così come le fotografie artisticamente rivisitate  da Claire Tabouret di parenti, figli e nipoti o di qualche detenuta ‘in un’altra vita’. Il regista Marco Perego  e l’attrice Zoe Saldaña che, in un video emozionante, ripropongono il dramma dell’entrata  in carcere e, perché no?, il fine-pena, con il peso del distacco da legami affettivi e così pieno di incertezze e paura del futuro.  

Bintu Dembélé, grande coreografa e danzatrice francese che esalta il rituale evolutivo del corpo e infine la scritta che ha tanto emozionato Papa Francesco durante la visita al carcere, nell’aprile scorso: frase che si legge anche nelle notti buie dalle celle delle detenute ad opera di Claire Fontaine: siamo con voi nella notte.

Cosa resta di questi stimoli visivi ed emotivi? Molto: sentimenti diversi che ci lavorano dentro ancora.

Chi sono io per giudicare?

L’isola sembra una balena spiaggiata davanti a San Marco, sdraiata come in attesa di salvezza. Ci si arriva rapidamente: e forse andare in carcere avrebbe bisogno di tempi più dilatati, ma in poco meno di un attimo siamo di fronte all’edificio che ospita quasi 100 donne che si sono trovate dalla parte sbagliata delle sbarre.

Ci accolgono, forse con più rudezza di quanto ci si aspetterebbe, delle giovanissime ‘assistenti penitenziarie’: con casualità invadente, poi, la lentezza burocratica inibisce a qualcuno l’ambita visita. Forse però anche le modalità di accoglienza costituiscono parte dell’esperienza artistica che, forse non serena, fornisce però strumenti di introspezione non banali. Stiamo per entrare in un carcere… 

E finalmente dentro, uno sparuto numero di persone diversamente assortite e unite da quella curiosità di conoscere anche l’indicibile: che c’entra l’arte con il carcere? Non è forse l’arte e l’artista quanto di più connesso con la libertà? E quei piedi che ci hanno guidato sin qui, saranno gli stessi che troneggiano sull’esterno della ‘piccionaia’ come verrà poi – poeticamente e violentemente- disvelata la struttura in un toccante video? Siamo accomunati forse, tutti noi che in pellegrinaggio laico; siamo qui in coda sotto il sole per pietire un po’ di arte, dotati di piedi affaticati e rovinati da tanto camminare, per chiedere la carità di una carezza o di uno sguardo comprensivo?


E poi l’opera più grande di tutte, il sorriso, guida il sentimento e il garbo di due donne detenute che ci accompagnano con un elegante grembiule blu (‘come la divisa delle assistenti’) e bianco (‘come l’abito del Papa’) di cui rivendicano orgogliosamente la autoproduzione all’interno della casa di reclusione.
Donne delle quali nulla sappiamo, se non lo sguardo limpido e aperto su un mondo che da tempo non è più il loro, mondo che hanno lasciato seguendo chissà quali bisogni e quali spinte, e nel  quale ambiscono a tornare.


Lasciando però dietro di sé qualcosa, legami e brani di poesie dettate ad artisti che poi li porteranno in giro per musei e mostre di tutto il mondo, tessendo anche per loro, le nostre ‘donne-guida’, offertesi a noi come novelle ‘Virgilio’, con .un brandello di futuro, intessuto in un presente incerto e dolce come l’abbraccio che le unisce avvicinandoci all’uscita.
Delizia dell’affetto.


Chi sono io per giudicare?

Articolo di Carlo Casti e Daniela Rubino

“Carlo Casti” collaboratore di Lentium
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