Il MAI, il Museo del Patrimonio Archeologico Industriale di Maglie

Il MAI, museo del patrimonio archeologico industriale

 

Il MAI, Museo del Patrimonio Archeologico Industriale, è stato istituto per restituire la storia e descrivere i protagonisti e gli aspetti imprenditoriale della Terra d’Otranto con particolare riferimento alla città di Maglie. Il museo costituisce un polo culturale in uno spazio che fa parte della memoria collettiva della città stessa e contribuisce a documentare le realtà produttive sorte in Terra d’Otranto a cavallo tra Ottocento e Novecento. A Maglie nacquero infatti piccole industrie derivanti dalla tradizione manifatturiera locale e da un artigianato di qualità, evolute poi in nuove imprese che hanno operato in stretto contatto con le produzioni agricole.

Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, Maglie era il secondo centro economico, commerciale e industriale del Salento, grazie alla presenza di numerosi stabilimenti legati ai settori tradizionali. Alle attività congiunte al settore dell’olio, del vino, del grano e della pasta e, a partire dai primi anni del Novecento anche del tabacco, si aggiunsero quelle artigianali del cuoio, dei fiscoli e dei cordami, dei berretti, del ferro battuto e dei mobili di lusso che successivamente si trasformarono in opifici industriali.

 

Il Museo del Patrimonio archeologico industriale: un grande lavoro di ricostruzione

 

Museo-del-patrimonio-industraile-maglie

Il MAI è allestito all’interno delle Officine Artistiche Mobili d’Arte dei F.lli Piccinno antica e importante ex fabbrica di mobili e, dal 1926, magazzino per la lavorazione di tabacchi orientali. L’edificio, progettato da Adolfo Piccinno nel 1919 e ultimato nel 1922, viene riconosciuto di interesse culturale il 23 luglio 2003.

Oggi è uno spazio dedicato alla storia dell’industria magliese e della Terra d’Otranto, un contenitore di eventi in cui sviluppare percorsi didattici, di aggregazione e animazione culturale. Un grande lavoro di ricostruzione che contribuisce a valorizzare le tradizioni, l’utilizzo delle risorse naturali, le tecnologie e le materie prime impiegate nelle attività produttive storiche.

Il progetto nasce nell’anno 2002 con la consulenza scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche-Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale, Cnr-ISPC, mentre il Coordinamento scientifico è stato svolto da Renato Covino dell’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale, Aipai. Il progetto di allestimento è stato redatto dagli architetti Francesco Gabellone e Lorena Sambati con la consulenza scientifica di Antonio Monte del Cnr-ISPC e vicepresidente Aipai.

 

Il Museo del Patrimonio archeologico industriale: gli spazi espositivi

Museo del Patrimonio Archeologico Industriale

Partendo dall’agroalimentare, si possono visitare in sequenza gli spazi dedicati all’industria olearia, del vino, del grano e della pasta, dei dolci. Per ogni sezione sono esposte macchine, mobili, quadri, diplomi e altri utensili e oggetti che facilitano la comprensione dei processi di produzione storici. Numerose sono le donazioni fatte da parte di familiari e conoscenti degli antichi “capitani d’impresa”.

Il museo si compone di due aree principali. La prima è dedicata alla città di Maglie e alle attività produttive dell’industria agroalimentare e manifatturiera; la seconda all’industria di Terra d’Otranto ed è dotata di un teatro virtuale in 6D e due postazioni in modalità Realtà Virtuale.

Museo del Patrimonio Archeologico Industriale
La “Gru Girevole Nuzzo” sulla scalinata

La “Gru Girevole Nuzzo” sulla scalinata, segna l’ingresso al museo. È una vecchia macchina molto utilizzata nelle cantine vinicole, un brevetto della ditta “Fratelli Nuzzo fu Vincenzo-Forniture Enologiche-Agricole-Industriali” del 18 gennaio 1947 e rappresenta un caposaldo dell’industria enologica meridionale.

 

 

Il Museo del Patrimonio Industriale. L’industria agroalimentare

L’olio

L’industria olearia, per secoli, ha svolto un ruolo di primaria importanza e ha rappresentato il pilastro portante dell’economia pugliese e della Terra d’Otranto.

Le olive venivano portate nel trappeto (dal latino trapetum), una struttura produttiva dove erano posizionate le macchine per la frangitura e la torchiatura della pasta di olive, che permetteva l’estrazione dell’olio.

All’interno dei trappeti, meglio noti come “frantoi da olio”, durante il processo di trasformazione (frangitura e torchiatura) si svolgeva un lavoro massacrante. Per questo motivo sono conosciuti come trappeti che lavorano “a sangue”. Erano definiti “a sangue” o “a tiro” perché la grossa pietra molare e in seguito le mole più piccole, erano messe in movimento dalla forza animale e i torchi azionati con “forza a braccia” da uomini.

In Terra d’Otranto è presente una peculiare tipologia di strutture produttive: i trappeti ipogei; essi sono stati ricavati scavando nel banco di pietra locale. I primi trappeti erano del tipo “alla calabrese” (o “a grotta”) poi, a partire dal 1768, divennero del tipo “alla genovese”.

In seguito, intorno all’ultimo quarto del Settecento, compaiono i trappeti semipogei in parte scavati e in parte costruiti.

Durante l’età industriale (1875 circa), iniziano a comparire i primi moderni stabilimenti oleari o oleifici, con “forza meccanica” alimentata dal vapore; in seguito con energia idraulica ed elettrica.

Inoltre, anche la produzione delle bruscole è stata un’attività rilevante, legata alla cospicua trasformazione delle olive in olio.

Museo del Patrimonio Archeologico Industriale
Torchio “alla calabrese”

Il vino

La storia dell’altro pilastro della produzione di Terra d’Otranto non è dissimile da quella dell’industria olearia.

L’industria del vino infatti vede, tra l’età moderna e la metà degli anni ottanta del secolo scorso, un’alternanza di periodi di espansione, profonda crisi e tentativi di ripresa, fino a giungere ai giorni nostri con una produzione specializzata e d’eccellenza.

Il settore, in effetti, non viene colpito dalla crisi del 1873 anzi registra un crescente aumento della domanda e dei prezzi, soprattutto in direzione della Francia. Questa però puntava ad un prodotto semilavorato, ossia ai cosiddetti “vini da taglio” con gradazione alcolica piuttosto elevata. Queste caratteristiche derivano indubbiamente dalle particolari condizioni naturali in cui la Terra d’Otranto è immersa e dal fatto che la stessa, in particolare la zona della provincia salentina, è colpita solo marginalmente dalla filossera: una temibile malattia delle vigne che provocò, in alcune nazioni e in modo particolare in Francia, la completa distruzione dei vigneti.

Le condizioni favorevoli dei mercati, nell’ultimo decennio dell’Ottocento e primi anni del secolo successivo, non furono sfruttate pienamente dai coltivatori e produttori locali per via della estrema arretratezza organizzativa e tecnologica.

Museo del Patrimonio Archeologico Industriale
pigiadiraspatrice a centrifuga, una pressa, un torchio continuo per la lavorazione delle uve

Museo del Patrimonio Archeologico Industriale

Il Museo del Patrimonio archeologico industriale: il grano

L’industria della molitura dei cereali ha fatto sorgere, oltre ai numerosi impianti molitori anche molti pastifici.

La produzione della pasta è stata sempre legata a quella delle farine. Sin dall’età medievale la lavorazione avveniva in piccole botteghe dove si confezionava a mano con strumenti essenziali, quali una madia, un mattarello, alcuni coltelli e dei telai per l’essiccazione. Tale attività era ancora considerata secondaria rispetto all’arte molitoria.

Intorno alla fine del XVI secolo e per tutto il successivo, si assiste ad una piccola rivoluzione tecnologica, il passaggio da un lavoro artigianale ad uno in parte meccanico con l’utilizzo di semplici congegni.

Prima iniziò a diffondersi la tecnica di formatura per estrusione con l’impiego del torchio a vite e, in seguito, l’utilizzo della gramola manuale “a stanga” per l’impasto.

Il torchio a vite, noto come “ingegno” (o “ngegno” alla napoletana), è stato in uso sino agli anni cinquanta dell’Ottocento, quando compare il primo modello di torchio meccanico in ferro e bronzo.

A partire dall’ultimo quarto dell’Ottocento, la fabbricazione della pasta comincia a diventare una vera e propria attività industriale, grazie all’innovazione tecnologica delle macchine, azionate prima a vapore e più tardi con l’energia elettrica.

Pregevoli sono due macchine esposte nella sezione dedicata alla molitura del grano e alla “fabbricazione delle paste alimentari”: un molino “a palmenti” della metà del secolo XIX e il “vento Cirillo” per l’essicazione artificiale dei maccheroni, brevettato e realizzato nel 1924 da Vincenzo Cirillo di Torre Annunziata.

 

mulino

 

il “vento Cirillo” per l’essicazione artificiale della pasta

Anche l‘arte dolciaria ha un’antica storia.

La Ditta Raffaele Cesano, considerata pioniera del settore, ha scritto un’importante pagina della storia dell’industria dolciaria di Terra d’Otranto. Nei primi anni dopo l’Unità d’Italia era proprietaria a Lecce “di un grandioso stabilimento, caffè in piazza S. Oronzo, impiantato con felice successo”.

Lo stabilimento era condotto oltre che da Raffaele anche dal giovane figlio Francesco che, dopo la morte del padre passò alla guida dell’azienda creando, intorno alla fine dell’Ottocento, la “Prima Industria Salentina di Prodotti Zuccherini”.

Tra i primi caffè a Lecce, si ricordano il Caffè Giancane, la nota Pasticceria Alvino, il Caffè Sciarlò;,la “Premiata Pasticceria Adolfo Candido”, la Ditta Giuseppe Cappello e altri.

A Galatina la famiglia degli Ascalone, da generazioni si tramandano l’arte della pasticceria. Anche nella sezione dedicata ai dolci sono presenti delle interessanti macchine, come per esempio una confettatrice in rame a trazione meccanica dei primi anni Trenta donata da Maglio Arte Dolciaria.

confettatrice in rame a trazione meccanica

 

Il Museo del Patrimonio archeologico industriale. L’industria manifatturiera

Dall’industria agroalimentare si passa all’industria manifatturiera. Qui il percorso si snoda attraversando sezioni dedicate alla lavorazione del legno, a quella del ferro battuto, dei berretti in tessuto; alla  lavorazione pre-manifatturiera del tabacco, passando poi alla concia delle pelli e alla realizzazione dei fiscoli o bruscole.

 

Il legno

Nella sezione del legno si trova un pregevole tornio manuale “a pedale” appartenente ai maestri ebanisti Conte, una sega a nastro e altri attrezzi e utensili per ebanisteria.

Il capostipite fu Luigi Piccinno senior (1847-1901) che fondò la “Ditta Luigi Piccinno” nel marzo del 1863. Luigi dotato di una geniale laboriosità, educò all’arte dell’ebanisteria i figli Ernesto, Luigi junior, Adolfo, Niccolò, Romeo e Giuseppe che ben presto intrapreso le orme paterne nella produzione di mobili artistici.

In questi anni, con l’inserimento dei sei figli nei laboratori, Luigi decise sia di ampliare la bottega artigianale trasformandola in uno “Stabilimento Artistico Mobili e Arti Decorative Ditta Luigi Piccinno”, sia di aumentare la produzione dei mobili che sempre di più incontrava un crescente consenso da parte della borghesia locale, che ammirava la sua produzione artistica caratterizzata da geniali opere con un sobrio gusto estetico.

In questa sala, fa bella mostra una stanza da letto completa realizzata dalla nota ditta F.lli Piccinno, mentre un’intera officina da fabbro con tutti gli utensili è esposta nella sezione dedicata al ferro battuto.

sega circolare per l’intaglio del legno

I cappelli

Anche nella fabbricazione di cappelli e berretti, la Puglia e la Terra d’Otranto hanno una storia che risale alla fine dell’Ottocento. La città di Maglie era considerata la capitale della produzione e vendita di berretti e cappelli in Terra d’Otranto. Qui infatti sono nate alcune tra le più importanti fabbriche di cappelli e berretti (coppole) in stoffa.  I diversi tipi di tessuto impiegati nella produzione sono composti da fibre naturali e pregiate come il cotone, il lino, la seta, la pura lana vergine, il cachemire, l’alpaca. Nei primi decenni del Novecento sorgono le piccole botteghe artigianali per la produzione di coppole di Sabino D’Oria, Roberto Scarpello ed Ettore Negro che da venditori ambulanti diventano produttori di berretti e cappelli. Negli anni successivi nascono le Ditte di Vincenzo De Donno e Giuseppe Partaluri & Figli.

            

 

macchina per realizzare baschi militari, una macchina da cucire, e varie forme in legno di berretti sono esposte nella sezione dedicata alle coppole.

Il tabacco

La lavorazione dei tabacchi levantini svolse nell’economia salentina del tempo un ruolo importante, contribuendo a ridisegnare l’assetto economico e sociale della Terra d’Otranto. Oltre il 60% di contadini, artigiani e concessionari erano titolari di attività legate alla coltivazione e manipolazione di questo prodotto.

La sezione dedicata al tabacco offre spunti di riflessione come quelli del lavoro minorile (le ragazzine a 12-13 anni già erano impiegate nella lavorazione in foglia del tabacco) e del “lavoro al femminile” fatto dalle operaie tabacchine. L’organizzazione della tabacchicoltura percorre un ciclo produttivo che si distingue in tre fasi di produzione differenti per rendere il prodotto di immediato consumo.

La prima fase è quella colturale o agraria fatta dai contadini, semina, coltivazione, raccolta essiccazione delle foglie.

Nella seconda fase c’è una prima lavorazione delle foglie, l’allestimento della materia greggia, fatta dai concessionari detentori dei magazzini. La terza fase manifatturiera (o industriale) e commerciale è legata alla trasformazione fatta nelle Manifatture Tabacchi e vendita delle sigarette dai Monopoli di Stato.

Anche qui due pregevoli presse per il confezionamento delle ballette di tabacco, fanno bella mostra. La prima tutta in legno e la seconda, una “Super Iso Pressa” brevettata da Bartolucci Amanzio e dai F.lli Nuzzo Saverio e Fortunato nel 1948 realizzata, tutta in metallo, dalla ditta “Officine meccaniche F.lli Nuzzo fu Vincenzo”.

pressa per ballette

pressa per sigarette

                                                                               

 

La lavorazione delle pelli, la concia

La lavorazione industriale dell’attività conciaria si radicò  in Terra d’Otranto a partire dalla prima metà dell’Ottocento, facendo di Maglie uno dei più importanti centri per la concia delle pelli.

 

Nel corso dell’Ottocento si diffusero nuove tecniche di lavorazione e una nuova organizzazione del lavoro, realizzando nuovi spazi per la produzione, meccanizzando i processi con l’impiego di mulini ad acqua per la macerazione della corteccia e l’aumento delle unità addette alla fase di asciugatura.

I cuoi pugliesi, in particolare il Marocchino indorato (noto con il nome di “auripelle”), il Bazano e il Cardavano erano rinomati a livello nazionale per l’elevata qualità.

La Terra d’Otranto era l’area più produttiva della produzione conciaria di tutta la Puglia. Brindisi, Lecce, Galatina, Maglie, Massafra, Tricase, Francavilla Fontana, Cavallino e Grottaglie furono i centri più importanti. Nota era la conceria della Ditta Lisi Donato & figli di Galatina che già utilizzava una caldaia a vapore di quattro cavalli. Maglie, Galatina, Tricase, Cavallino e Massafra sono i centri in cui è stato possibile ricostruire la loro storia.

Il Novecento segnò la totale scomparsa delle concerie in Terra d’Otranto anche per difficoltà legate alla scarsità dell’acqua ma anche ai rapidi mutamenti del mercato e all’evoluzione industriale delle tecniche.

 

Il Museo del Patrimonio Archeologico Industriale. Un’esperienza immersiva

 

Ultimato questo percorso, si accede in un ambiente dove sono collocate due postazioni per la fruizione immersiva in modalità VR, che permettono la navigazione interattiva stereoscopica e un Teatro virtuale in 6D che racconta l’industria e il cospicuo patrimonio industriale di Terra d’Otranto.

Infine, 6 ologrammi 3D con display piramidale generano le immagini olografiche in tre dimensioni: il logo del Museo, un albero di olivo, un torchio “alla calabrese” e di uno “alla genovese”, la “Ruota pazza” del pastificio Cavalieri e di uno scatolo della saponetta Radium, un sapone prodotto dal saponificio “G.S. L’Abbate”.

 

 

Alcuni cubi espositivi di plexiglass decorano lo spazio museale. Sono illuminati internamente e rappresentano i personaggi e la pubblicità industriale .

 

 

Oggi vi presentiamo “Alberto Fachechi”: collaboratore di Lentium