Pubblichiamo un racconto umanitario di Ferruccio Brambilla, che ci porta a porci molte domande, tra cui, quella del volontariato, di come funziona, come approdarci, come comportarsi inerente gli aiuti umanitari e il volontariato internazionale.
L’ultima volta che scrissi un racconto simile era il 2010. Mi fu commissionato da un’organizzazione umanitaria con lo scopo di reclutare nuovi volontari. Dopo la pubblicazione, infatti, molte persone mi contattarono per avere informazioni su come intraprendere il percorso nel volontariato, per sapere a chi inviare donazioni, giocattoli, vestiti e generi di prima necessità o per conoscere le modalità delle adozioni a distanza. Ricordo che considerai già quello un traguardo raggiunto e perciò ora, a distanza di otto anni, lo ripropongo con qualche aggiornamento e cercando solo di descrivere quanto sia facile, utile e divertente la pratica del volontariato. I fatti che descrivo e soprattutto le riflessioni che ne derivano, se fossero il capitolo di un libro lo dedicherei a coloro che mi chiedono: “ma cosa vai a fare?”, oppure a chi mi dice: “vorrei partire con te, ma non ho specifiche conoscenze e non saprei cosa fare”. Se solo sapessero quale beneficio interiore se ne ricava non si porrebbero certi problemi.
Volontariato… ma cosa vai a fare?
Questa è la domanda che mi sento rivolgere spesso, al ritorno dalle località dove, fra l’altro, presto la mia modesta opera di volontario. Per rispondere al quesito non posso che rifarmi alle esperienze avute finora, pur sapendo che probabilmente non c’è una sola risposta, o forse la più giusta potrebbe essere che non si fa nulla e si fa tutto. Avvicinare chi ha bisogno può sembrare poco ma aiuta molto.
A coloro che invece mi domandano perché proprio il volontariato, rispondo semplicemente che mi piace e mi appaga, perché mi consente di stare con le persone del posto, di vivere come vivono, con la loro serena quotidianità, le loro usanze, abitudini e stati d’animo. Queste sono straordinarie conoscenze che cambiano la visione della vita e permettono di comprendere quali siano le cose veramente importanti, sulle quali concentrare ognuno i propri sforzi.
Prima di pensare di intraprendere l’attività nel volontariato internazionale, occorre valutare il tempo del quale si dispone. In genere per la prima esperienza possono bastare una ventina di giorni. In seguito e volendo, ci si può dedicare per tutto il periodo concesso dal permesso di soggiorno, che varia a secondo delle località – minimo un mese fino a un massimo di tre, qualche paese ne concede sei -.
Per chi studia o lavora c’è la possibilità di cimentarsi nell’impresa sostituendola alle normali vacanze estive. Forse un po’ meno riposo ma sicuramente maggior gratificazione. La condizione ideale lo sappiamo, è quella del pensionato ancora in forze, ma di questi ormai ce ne saranno sempre meno.
Esistono associazioni laiche e missioni cattoliche strutturate per accogliere i volontari, offrendo loro vitto e alloggio, quasi sempre di qualità accettabile. A mio parere queste realtà hanno la controindicazione di prevedere orari ben scanditi e precise modalità di svolgimento delle diverse attività. Ce ne sono altre che invece lasciano qualsiasi iniziativa alla discrezione e intraprendenza del volontario. Altre ancora che non hanno mai ospitato volontari e che si trovano per la prima volta a cercare di sfruttare l’opportunità nel migliore dei modi. In questi due ultimi casi bisogna dotarsi di un buon spirito di adattamento perché ci si deve arrangiare alla meglio, improvvisare ogni cosa, mangiare quello che c’è e dormire un po’ dove capita. Di queste ne ho incontrate molte e sono quelle che prediligo, perché lasciano campo libero e in questa condizione riesco a dare il meglio. Credo che il volontariato vada in qualche modo personalizzato.
Veniamo ora alle nuove e sempre piacevoli conoscenze, poi ai non meno stimolanti ma improvvisati incarichi ricoperti. In diversi luoghi familiarizzo con alcuni medici che, in equipe e a loro spese, dedicano una quindicina di giorni per certi tipi di interventi mirati ed esclusivamente per quelli. Preciso e ribadisco a loro spese, perché a volte sorgono dei malintesi al proposito: il volontariato è solo quello che si svolge a titolo completamente gratuito! Vedi articolo 1 della carta dei valori del volontariato che allego. Ma una cosa che faccio sempre prima di ogni partenza è di richiedere una dichiarazione su foglio intestato, timbrato e firmato dalla organizzazione di turno, nella quale si fa richiesta della mia presenza per motivi diversi. Con questo documento prendo accordi con la compagnia aerea di turno che mi concede uno sconto sul biglietto di volo e la possibilità di imbarcare bagaglio extra – la famosa “tariffa missioni” -. Questa facilitazione sarà successivamente estesa a tutti gli altri volontari ed ai responsabili delle stesse associazioni, che a cadenza regolare vanno e vengono da e per l’Italia e che per questo ringraziano.
Così conosco in Indonesia un gruppo di simpatici chirurghi di “operation smile”, conta migliaia di volontari in tutto il mondo che operano i bimbi affetti dal cosiddetto labbro leporino.
In Brasile incontro un’altra equipe di medici oculisti che eseguono interventi di cataratta – in certi villaggi sperduti dell’Amazzonia, l’alternativa è la cecità totale.
In Tanzania, nell’associazione “il villaggio della gioia” di Baba Fulgenzio, condivido l’alloggio con cinque medici di chirurgia generale provenienti dalla provincia di Napoli. Si trattengono una ventina di giorni ed operano a tempo pieno. Si tratta di interventi non eseguibili dai medici locali, a causa della scarsa conoscenza delle più moderne tecniche e della carenza di materiale adeguato. Nei fine settimana facciamo visita alle località vicine, safari fotografici e rilassanti passeggiate sulle spiagge del vicino Oceano Indiano. Luoghi incantevoli, spiagge splendide e quel che più conta: gente in gamba! Nel volontariato credo sia essenziale unire l’utile al dilettevole.
Sono partito citando i medici, perché è decisamente la categoria della quale c’è maggior bisogno, insieme a quella degli infermieri. Ma c’è molta richiesta anche di altri volontari che lavorano o hanno lavorato in un campo ben specifico e si propongono per rendersi utili in ciò che sanno fare meglio: muratori, elettricisti, idraulici, falegnami, fabbri ecc…
C’è tuttavia lo spazio per alcune mansioni necessarie che non richiedono una specifica preparazione, ma solo un po’ di buona volontà e un briciolo di fantasia. Chiunque può rendersi utile anche chi, nel corso della vita lavorativa ha svolto delle attività apparentemente non traducibili in ciò che comunemente si pensa possa servire quando si parte per luoghi dove non c’è nulla, in aiuto alle popolazioni bisognose dell’indispensabile. “Ognuno si deve rendere utile come può” è il motto della mia carissima amica Assunta, scrittrice di grande talento, che dedica la sua intera esistenza alla Cooperazione Internazionale. Può sembrare una banalità, ma è una frase che in molte occasioni mi trovo a ripensare per me stesso o ripetere ad altre persone.
Cercherò quindi di raccontare qualche esperienza vissuta, certo che se ci sono riuscito io ci può riuscire chiunque.
Inizio dalla favela Rocinha di Rio De Janeiro dove trascorro tre mesi nel 2005, altri tre nel 2007 poi ancora nel 2015, invitato dall’amica Barbara, fondatrice dell’associazione “Il sorriso dei miei bimbi”. E’ la mia prima esperienza e come il primo amore non si scorda mai!
Qui non c’è necessità di programmare il lavoro, basta svegliarsi di buon’ora e guardarsi in giro. Occorre ritrovare un bambino smarrito o aiutare una famiglia per le necessità più impellenti. Con Barbara ci diamo un gran da fare in questo senso, specie durante la notte.
Ci improvvisiamo ciceroni per assistere e scortare gli intrepidi turisti che ogni tanto arrivano per vedere cosa succede e ciò che è consentito vedere in Rocinha, accompagnarli a visitare le strutture dell’associazione. Si può decidere di riordinare l’ufficio, raccogliendo e catalogando i tantissimi articoli apparsi su riviste e quotidiani locali o italiani dei quali si è avuta notizia e che riguardano l’attività di Barbara. Ordinare le migliaia di foto per un rapido consulto e per la stampa di opuscoli da distribuire ai donatori e sopratutto ai genitori delle adozioni a distanza.
Rispondere alle numerose mail che giornalmente arrivano da parte di chiunque: collaboratori, altre associazioni, enti, donatori istituzionali e non, amici, soci, nuovi volontari che si propongono e per i quali occorre cercare una sistemazione. Poi i contestatori e le grane. Ci sono anche quelle! Ricordo di aver creato una mia casella di posta esclusivamente per “il sorriso” e che, dopo poche settimane contava già una trentina di cartelle con informazioni di ogni genere e provenienti da ogni dove.
Si può decidere di appendere tre cartine rispettivamente di Rio, del Brasile e del resto del mondo, nel locale adibito al recupero dei giovani dal narcotraffico. Qui non tutti conoscono l’esatta collocazione del luogo dove stanno vivendo.
A volte bisogna anche fare i conti, intesi come bilanci e contabilità, ma anche fare i conti con i professionisti locali assolutamente inaffidabili, o più semplicemente con i negozianti, ai quali manca sempre l’unica cosa che serve. E ancora, instaurare e mantenere pubbliche relazioni con i diplomatici locali. A questo riguardo si rivela utilissimo il coinvolgimento del Consolato Italiano e dell’Istituto Italiano di Cultura alla causa dei bimbi di strada e delle famiglie che vivono in condizioni miserevoli. Nei locali del Consolato ci autorizzano ad allestire una mostra fotografica sulla vita nella favela.
In visita il Console e altre autorità brasiliane, molti abitanti di Rio, turisti e tanti italiani residenti in città. Ritengo importante mantenere i contatti con questi funzionari per tutto il tempo della mia permanenza, trasferendo poi le conoscenze a Barbara, in modo da proseguire con i proficui rapporti stabiliti e ottenere anche in futuro altri benefici a costo zero. Un’attitudine questa, che è innata in noi italiani, anche se nel nostro paese non gode di ottima fama. In questi casi il fine giustifica i mezzi, come diceva Madre Teresa di Calcutta a chi la apostrofava, quando pareva utilizzasse i soldi provenienti da dubbie attività per i suoi nobili scopi: “Quello che conta è ciò che si riesce a fare con i fondi non la loro provenienza”.
Il giorno in cui Barbara viene nominata “Donna d’Italia nel mondo” dall’allora Presidente Ciampi, intervengono parecchie personalità dall’Italia e si rendono necessari tutti i preparativi per la cerimonia di premiazione e per la cena in uno dei migliori hotel di Rio. Si deve decidere chi invitare, cosa fare e cosa raccontare, perché non capita tutti i giorni di ricevere una simile onorificenza. Ecco quando deve subentrare un poco di inventiva e creatività da parte di tutti, soprattutto dei volontari. Personalmente mi diverto un mondo e grazie a questa esperienza, nelle località dove opero, cerco sempre di chiedere la collaborazione della diplomazia locale, coinvolgendo sia i consolati che le ambasciate nelle attività della onlus o missione in cui mi trovo. Si rivelano di grande utilità allo scopo finale di far conoscere il loro operato e perché no, per la raccolta di fondi attraverso eventi ed iniziative da loro patrocinate e sponsorizzate.
Conosco Cristina alla fine del 2005. Lei è presidente dell’orfanotrofio per disabili “Lar Vida” al Novo Marotinho di Salvador dove, durante la mia lunga permanenza, assisto i maestri e gli psicologi nella pratica dell’ippoterapia, accudendo poi i cavalli o più semplicemente attrezzo la piscina per l’idroterapia, dopo averla pulita e liberata dalle foglie. Vado in giro per la città a far spese con il fuoristrada dell’associazione. Tutto ciò che serve tranne la frutta che ogni mattina di buon’ora.
raccolgo nell’immenso parco dell’associazione – sia il grande parco che le enormi strutture della sede sono una donazione di un facoltoso nobile italiano -. Nei tempi morti mi limito a dare una mano al fac-totum, certo Valdevir Moreno, una splendida persona che quando mi accompagna all’aeroporto si lascia scappare una lacrimuccia.
Cristina invece, quando ci salutiamo prima della partenza, mi dice testualmente: “sei stato il primo volontario che ho voluto accogliere quasi per prova, ma d’ora in poi farò in modo di reclutarne altri, perché mi sono accorta di quanto sia importante per gli ospiti dell’orfanatrofio, anche solo una carezza di una persona che non sia la solita maestra, che i bimbi vedono tutti i giorni o l’addetta alle cucine che oltretutto non sempre ha tempo per intrattenersi con loro. Ho notato quanto eri impegnato nel rispondere alle loro domande, con l’interpretazione di chi appartiene ad una cultura totalmente diversa.
Questa cosa apre loro le menti”. Inutile dire che mi sono sentito alquanto gratificato! Effettivamente un gruppetto di bimbi mi aspettava al rientro dal mio giro quotidiano in città per commissioni. In compagnia del guardiano notturno stavano in giardino anche fino a tarda notte, solo per sapere come avessi trascorso la giornata o affinché raccontassi loro ciò che avviene in Italia a proposito di questa o quella questione. Andavo a dormire col cuore pieno di gioia per i loro sorrisi e per la felicità che leggevo nei loro occhi. C’è forse qualcosa di più bello?
Ma forse mi sto dilungando un po’ troppo. Succede perché, rivivendo nel ricordo quei momenti, subentra in me parecchio coinvolgimento emotivo e non finirei mai di raccontare. Ma da qui in poi mi sforzerò di essere un po’ più sintetico.
In Indonesia a Jakarta il mio compito è quello di contribuire, con l’amico Franco e la moglie Laura dirigente medico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla verifica e all’inventario dei danni subiti dagli ospedali nella parte nord dell’isola di Sumatra dopo il tristemente famoso tsunami del 2004. Dati indispensabili all’OMS per la ricostruzione.
In quella occasione, con un volo interno, faccio visita anche all’amica di Laura, l’inglese Ann McCue ed al suo progetto “Hope Sumba” sull’isola omonima, che si trova poco distante dalla costa nord dell’Australia. Con Lucas, presidente dell’associazione, controlliamo lo stato d’avanzamento dei lavori per la costruzione di pozzi per la raccolta dell’acqua, tanto abbondante durante la stagione delle piogge quanto scarsa nel resto dell’anno. In giro per la piccola isola in moto, visitare i cantieri anche per prendere nota di ciò che serve, uno spasso impagabile, Sumba è bellissima!
Un altro volo interno mi porta a Padang, dove Pastor Pio l’indigeno – un prete spretato un po’ folle ma molto determinato mi accompagna, prima con una nave mercantile fino a Muara Siberut sulle isole Mentawai, poi con un lungo e audace viaggio su una piccolissima canoa fino a Buttui, un villaggio rurale dove ha costruito scuole e asili tra le palafitte. Un ambiente che mi ricorda tanto il Vietnam. Qui partecipo ai riti ed alle feste delle tribù locali: i Sakudai.
Proprio al momento del nostro arrivo stanno celebrando una cerimonia alla quale ci chiedono di partecipare. Devono scacciare lo spirito del male che il giorno prima ha voluto la morte di un bimbo di due anni. Tutt’intorno, centinaia di teschi e ossa umane fanno da cornice al loro impressionante culto dei morti, alti falò accesi nella grande casa di paglia – la Uma -, intorno ai fuochi scatenano balli e canti indemoniati, piume, lance, sventolio di foglie di banano, mentre tutti si fumano l’impossibile fino alla totale incoscienza che si trasforma in tranche, il momento culminante di riflessione. Gli stregoni sono molto orgogliosi di poter rappresentare la loro cultura ad un estraneo, per di più europeo e per di più italiano. In ogni parte del mondo gli italiani godono di un’ottima considerazione, a dispetto di come ci descriviamo quando siamo tra di noi in patria.
A Cuba, che frequento per oltre un anno – di due mesi in due mesi, per i limiti imposti dal permesso di soggiorno – conosco l’ottimo Francisco e la sua associazione “Shatsu Do Volontariato” per la pratica gratuita di massaggi Shiatsu alle persone anziane bisognose. Ha diverse sedi nel mondo con tanti praticanti e volontari già esperti. Io impiego qualche tempo, tra l’Havana, Santiago e Baracoa, solo per capire che se decidessi di impegnarmi seriamente e rendermi davvero utile, dovrei approfondire tale e tanta conoscenza della materia, che non mi rimarrebbe spazio per fare altro.
Una bella storia comunque, tanto più che a Cuba non ci si annoia mai anzi, se si desidera trascorrere un periodo all’insegna dello spasso esagerato, è il posto ideale. Racconto anche questi fatti nella speranza che servano da ulteriore incentivo a chi, pur potendo, sta ancora meditando se e come buttarsi in questa attività. C’è davvero di tutto e si vivono emozioni forti!
In Sudafrica nel 2008 con l’amica Simona, sua zia Assunta, scrittrice missionaria laica e col compianto amico Gianfranco, fondatore dell’associazione peruviana “la Fuerza de la Amistad”, trascorriamo lunghe giornate in affiancamento agli insegnanti dell’associazione “Little Eden” a Johannesburg. Dobbiamo apprendere come si opera con i disabili, in vista del successivo impegno a Huanuco nell’associazione di Gianfranco in cima alle Ande. In pratica non facciamo altro che partecipare alle attività quotidiane degli ospiti, accompagnandoli con le loro carrozzine durante le passeggiate nell’immenso giardino dell’associazione, aiutandoli nei loro lavoretti sui banchi di scuola, cercando di trasmettere loro in qualche modo il nostro affetto e sostegno, con l’approvazione delle brave educatrici africane. Dare un po’ di felicità rappresenta di per sé un ottimo target e una grande soddisfazione. Lo spirito del volontario deve cibarsi anche di questo.
Poi la mia prima volta in Perù nel 2009. Tre mesi tra Lima e Huanuco unicamente per sdoganare un container contenente aiuti umanitari destinati proprio all’associazione del mio amico. Quindi, disbrigo di pratiche burocratiche e contatti con i funzionari corrotti della dogana del Callao a Lima, quotidiani viaggi in moto girando per gli uffici importazione di vari ministeri, per ottenere il visto d’ingresso di tutti i materiali spediti dall’Italia. Alla fine, dopo estenuanti trattative con questa gentaglia, la missione è felicemente compiuta! Con l’occasione visito un paio di altre associazioni italiane. La prima, “Magia delle Ande” di Huaro in Perù, preventivamente invitato dal fondatore Gabriele Poli di Vicenza. Successivamente in Bolivia, dove a La Paz conosco un volontario pasticcere italiano che da molti anni lavora in una grande missione cattolica e produce panettoni buonissimi. Anche questo è un modo ed anche in questo caso niente di particolarmente difficile.
Di nuovo in Brasile nel 2010 a Belo Horizonte, nella favela “Primeiro de Majo”. Un’organizzazione italiana che ha costruito diverse scuole ed asili sparsi in vari punti dell’immensa città, mi commissiona un servizio fotografico. Con il valido contributo di una giovane volontaria fiorentina me la cavo in soli due mesi, con grande soddisfazione delle direttrici didattiche. Anche in questo caso il materiale verrà usato per stampare opuscoli da inviare ai donatori ed ai genitori di bimbi adottati a distanza. Per sfruttare fino all’ultimo giorno i tre mesi del permesso di soggiorno, decido di prendere un bus con destinazione Rio de Janeiro e l’altra favela, la Rocinha, dove riabbraccio Barbara e tutti i suoi e amici.
Ancora Messico, stavolta in Baja California a Cabo San Lucas, nella parrocchia di Padre Arturo. Con un furgone entro di pomeriggio nelle cucine dei migliori hotel della città, luoghi di vacanza degli americani ricchi, per prelevare tutto ciò che non è stato consumato nei loro lussuosi ristoranti e distribuirlo, al calar del sole, al pueblo delle baraccopoli delle periferie di Cabo, dove c’è solo un deserto di cactus e la miseria più totale. Cibo ricchissimo per gente poverissima, che mi corre incontro per quel momento gioioso. Anche in questo caso, chi non avrebbe saputo fare altrettanto?
Dopo la parentesi del Costa Rica, dove assisto al “corso di formazione per corrispondenti lombardi” a cura dell’associazione di un caro amico mantovano e dopo l’inutile esperienza del maggio 2011 a New York, nell’estate dello stesso anno sono di nuovo in Perù. A Huaraz e dintorni mi occupo esclusivamente di individuare nuove associazioni o missioni cattoliche bisognose di apparecchiature elettroniche, che successivamente hanno potuto beneficiare di forniture gratuite, attraverso l’associazione no profit Biteb – Banco Informatico Tecnologico e Biomedico – conosciuta a Milano. Una delle ultime forniture viene spedita alla Congregazione delle Figlie di N.S. della Pietà di Monterrey, che da poco gestisce una “posta medica” – ambulatorio di p.s. – in mezzo al niente delle ande peruviane a quota 3300.
Col “Gruppo Africa” della Val di Scalve. Bergamaschi simpaticissimi e pazzi per il lavoro duro, durante gli ultimi mesi del 2011 in Papua Nuova Guinea, per la costruzione di un acquedotto di oltre 15 chilometri, con tre vasche di contenimento e quant’altro necessario per portare acqua potabile ai villaggi intorno ad Ulutuya sull’isola di Goodenough. In questa avventura sono fotografo pressoché ufficiale, a volte autista e sopratutto coordinatore tra le tribù e i vari mustafà – stregoni capi villaggio -, nonostante vi siano poche persone che parlano inglese ed alle quali mi rivolgo con la mia conoscenza poco più che scolastica.
Un’altra di quelle situazioni in cui, se ce la faccio io con queste premesse, vuol dire che la potrebbero fare tutti. L’amica Laura, di cui avevo scritto a proposito del viaggio in Indonesia, la ritrovo quasi per caso a Port Moresby, capitale della Papua N.G. e la metto in contatto con l’Arcivescovo Francesco Panfilo, che qualche tempo prima mi aveva accennato alla sua necessità di confrontarsi con una persona competente, per un problema riguardante la mortalità infantile. E chi meglio di Laura? Ora mi scrive e mi racconta che si incontrano spesso. Conoscendo la professionalità dell’amica Laura e la determinazione di Francesco, sono certo che insieme faranno un ottimo lavoro. Dopo questa esperienza, che si può definire casuale, sono ancor più convinto che non c’è limite a ciò che si può realizzare, solo con un po’ di inventiva e una buona dose di fortuna!
Il successivo e tanto sospirato viaggio ad Haiti e Repubblica Dominicana lo realizzo finalmente nell’estate del 2012. Qui condivido le vicissitudini quotidiane del grande giornalista e fotografo Gianni Dal Mas, nella zona nord del confine. Il suo impegno è finalizzato alla regolarizzazione degli haitiani che lavorano in territorio dominicano. Questo per difendere i loro diritti, altrimenti e sistematicamente negati dal governo di Santo Domingo, che vorrebbe invece espellerli in massa. Ogni settimana Gianni riesce a fornire regolare passaporto ad alcune centinaia di haitiani, grazie alle sue conoscenze presso l’ufficio immigrazione. Anche questo è volontariato, se si considera che Gianni è impiegato come responsabile del personale nella “Plantaciones del Norte SA” – uno dei più grandi bananifici del mondo il cui titolare è un ottantenne italiano – e svolge l’attività a favore degli haitiani che lavorano nella piantagione, a tempo perso e a titolo gratuito.
Di nuovo a Cuba per cercare di sviluppare sull’isola lo studio di “permacultura” dell’amico Gianni di Haiti. In questa operazione la mia funzione avrebbe dovuto essere semplicemente quella di mettere in contatto Gianni col mio amico Elias di Baracoa nel Guantanamo, che dispone di un vasto terreno adatto allo scopo. Di questa cosa ne avevamo parlato lungamente durante il soggiorno ad Haiti. Purtroppo, il momento del nostro incontro all’Havana è coinciso con i disastri causati dall’uragano Sandy proprio nella zona sud dell’isola: Santiago e Baracoa, le due località dove avremmo dovuto operare. Questo ci impedisce di portare a termine il progetto che comunque, per quanto mi riguarda, è solo rimandato.
Il 2013 è quasi interamente dedicato alla Papua Nuova Guinea. Un’altra volta? Sì, un’altra volta sull’isola di Goodenough però a Bolu Bolu, dove le tribù locali non vanno sempre d’amore e d’accordo. Si fanno dispetti a vicenda e finiscono così per arrecare danni alle strutture dell’acquedotto del 2011 per cui, con un amico del gruppo si pone rimedio dissotterrando le condutture e saldando nuovamente i tubi, oltre che deviandone il corso in modo da portare acqua ad altri tre villaggi.
L’occasione è propizia per raggiungere con un volo interno l’isola Kiriwina – arcipelago delle Trobriand, isole dell’amore – dove si effettuano diversi lavori nella missione di Sister Valentina – Congregazione Suore della Riparazione di Milano -. Vengono inoltre posizionati dei pannelli solari donati da un’associazione australiana e tanti punti luce quanti sono gli alloggi delle sisters. Da queste parti alle sei è già buio, ma ora almeno possono leggere qualcosa prima di addormentarsi.
Il 2014 inizia con il Burundi dove a Mutoy, per conto del Vispe – una grande associazione di Milano – prendo visione di come sono strutturate le dodici cooperative che occupano circa 1.200 persone. Occorrerebbe riordinare i bilanci, riscrivere lo statuto di ogni singola cooperativa, comprese le due che operano nella capitale Bujumbura e che si occupano di vendere tutto ciò che si produce in quelle di Mutoyi. Questo lavoro avrebbe richiesto una permanenza sul posto di almeno due/tre anni e decido di non accettare. Avevo anticipato questa mia possibile decisione al responsabile Vispe col quale faccio il viaggio ed al quale presento un amico che potrebbe fare al caso suo. Durante la permanenza aiuto una coppia di volontari italiani, occupati nella sistemazione dei vari magazzini Vispe e del vicino ospedale.
Dopo il Burundi e dopo molti anni di promesse fatte a padre Sibi, indiano fondatore dell’associazione “Vanaprastha” a Bangalore, alla fine del 2014 riesco finalmente trascorrere qualche mese con lui in India. Un’esperienza assolutamente spirituale, anche se in un contesto tutt’altro che metafisico. A Vanaprastha non faccio altro che mettere in pratica ciò che Sibi scrive sul suo sito quando parla dei volontari e cioè, testualmente: “normalmente preferiamo volontari che stiano almeno due mesi e ci diano una mano nel nostro lavoro quotidiano, con una minima conoscenza della lingua inglese. Ma è importante anche semplicemente stare coi bambini… un’esperienza che tocca nel profondo”. Effettivamente anche questa volta mi tocca nel profondo, senza fare granché. E anche qui, come in quasi tutti i posti frequentati, mi ritaglio una quindicina di giorni, solitamente alla fine del periodo dedicato allo scopo principale, per visitare da turista fai da te, tutto ciò che di bello c’è da scoprire in India. Ma non voglio soffermarmi su questo aspetto più di quanto abbia già fatto..
Molto interessante anche il periodo trascorso in Congo nel 2015, nelle missioni delle Suore Angeline di Kinshasa, Kikwit e Kikombo. Con l’amico Vico ottimizziamo i sistemi di raccolta acque con l’interramento di tank e l’istallazione di pompe. Anche qui posiamo pannelli solari per le scuole e le residenze delle Suore, che oltre al resto, cucinano con tanto amore.
Breve parentesi ancora in Brasile alla favela di Barbara nel 2016, per poi trascorrere gli ultimi mesi del 2017 sull’isola New Britain nell’arcipelago Bismarck in Oceania, presso l’Arcivescovado di Rabaul a Kokopo. I soliti bergamaschi del G.A., coadiuvati da altri tre amici della provincia di Milano, danno il via al progetto “Villaggio Giovanni XXIII”, costruendo prima tre casette con l’aiuto di alcuni ragazzi del posto poi, invertendo i ruoli, facendo edificare la quarta casa esclusivamente ai locali, con la loro supervisione. Il progetto che prevede 250 case, verrà successivamente completato dagli stessi ragazzi ormai istruiti a dovere. In questa impresa sono il jolly. Il compito del jolly quando non c’è alcun problema, è quello di trovarne uno e risolverlo, non inventarlo ma trovarlo – se si trova vuol dire che c’è e va risolto.
Ma non sono sempre rose e fiori, in un paio di occasioni, dopo essermi avvicinato ad una nuova realtà con l’intenzione di restare a lungo, decido di andarmene dopo pochi giorni. Sono le delusioni che fanno parte del gioco, anche se ciò che mi fa decidere di andar via anzitempo non è affatto un gioco. Per ovvie ragioni non farò nomi né citerò le motivazioni. Ma in tutti questi anni di attività è successo solo un paio di volte. Dopo la prima frustrazione e dal momento che sono già in zona, accetto di buon grado l’invito di Elisabetta, badante di mia madre, per una vacanza nella sua casa a Chevedo in Ecuador. Dopo l’insuccesso messicano invece, decido di proseguire il viaggio verso sud, in cerca di qualcos’altro da fare nel Chiapas. Ma non mi riesce di trovare nulla tranne una stravagante e simpaticissima ciociara, con la quale risalgo a visitare la penisola dello Yucatan, isole comprese. Due casi di mancata utilità ma di esclusivo diletto. Why not!
Ad esclusione delle “missioni in Papua Nuova Guinea” col Gruppo Africa e di alcune con Vico, l’amico che sa fare di tutto ed al quale faccio da garzone, in tutte le altre iniziative descritte fin qui ho sempre viaggiato da solo e continuerò viaggiando da solo, mi piace di più. Poi quando torno in Italia non so mai per dove ripartirò, a meno di non ricevere mail di questo tipo: “Ti prenoto per il prossimo anno in Etiopia, con le suore Francescane di Rimini e i medici di Milano. Ci contiamo!”. Chi mi scrive è l’amico Luigi, autorevole membro dell’associazione di medici “Cuamm” di Padova. Beh, ci sto pensando perché avrei già in mente altre mete, ma di sicuro non mi domando cosa andrò a fare.
Mantenere sempre vivi i contatti con ognuna di queste realtà conosciute all’estero, produce effetti benefici anche quando si torna in Italia, si partecipa alle assemblee annuali dei soci, alle feste, ricorrenze ed eventi, dove ci si rivede con tanto piacere, inoltre c’è la possibilità di rendersi utili anche a casa nostra. Qualche esempio di cosa si può fare divertendosi:
All’istituto “Canal Marovich di Venezia”, ospite con un amico della Congregazione Suore della Riparazione per restaurare un ampio salone che servirà poi ad allestire una mostra di oggetti, quadri, foto e suppellettili appartenuti alla fondatrice, in occasione del bicentenario della sua nascita. Presentare poi l’evento con un servizio fotografico.
Con l’associazione “Noha onlus” di Milano ed altri volontari, per contribuire al progetto annuale ‘vacanze per i disabili’, questa volta a Viserba. Quindi affittare un paio di autobus ed un residence, accompagnare con le carrozzine i disabili al mare e partecipare alle loro attività balneari. Apparecchiare e sparecchiare lunghissime tavolate, lavare piatti e pentoloni. La sera in fila indiana, tutti assieme a prendere un gelato. Come sempre, anche queste occasioni più alla portata perché in Italia, si conoscono persone speciali, con le quali gettare le basi per nuovi viaggi e per l’organizzazione di altri eventi.
Dalla “Comunità di Sant’Egidio” di Milano ricevo come ogni anno, l’invito al pranzo di Natale coi poveri, circa 300 persone e un paio di volontari per ogni tavolo. Stavolta mi tocca la tavolata composta da una ventina di persone dello Sri Lanka ed Iran che inizialmente stanno un po’ sulle loro, poi pian piano si aprono e così ci divertiamo un sacco. Al momento dei saluti manca una ragazza cingalese, nera nera, che durante il pranzo mi era sembrata più introversa delle altre, ma vengo a sapere che mi sta cercando ed alla fine mi trova solo per ringraziarmi, per un abbraccio e un bacetto.
E’ l’episodio finale, che mi commuove e racchiude tutto lo spirito della giornata. E’ impossibile abituarsi a queste piacevoli emozioni. Sono le soddisfazioni che regala il volontariato, che merita di essere fatto anche solo per questo.
Bene, nel racconto ho cercato di riportare solo le ragioni che hanno motivato il viaggio e la permanenza, trascurando i dettagli. Mi riferisco alle piccole attività quotidiane svolte dai volontari per alleggerire la mole di incombenze degli addetti istituzionali del posto. Infatti, in queste realtà ci sono anche lavori meno nobili da compiere, ma se sono da fare si fanno e non ci si pensa più. Mi sono scoperto in grado di realizzare cose che se avessi dovuto farle per me in Italia non ci avrei neppure tentato.
Ho riparato una carriola di ferro che era semidistrutta e non so ancora come ci sia riuscito! E tagliare giganteschi tronchi con delle lunghe seghe a mano, accudire i cavalli, allestire una sala computer, catalogare ogni ben di Dio frutto di donazioni e ordinarlo nei magazzini, selezionare e rispondere alle innumerevoli mail che arrivano, tagliare l’erba e rastrellare quella secca con la quale procurare il fieno alle mucche, verniciare serramenti, usare il trapano, incollare suole di scarpe, vuotare le buche che servono come raccolta rifiuti umidi, trasportare il contenuto negli orti come concime ecc..
In Tanzania ho imparato a guidare il trattore per portare qua e là di tutto. A proposito di guida, è importante partire con la patente internazionale, perché a volte c’è necessità di accompagnare i disabili alle cure o a scuola o semplicemente per andare al più vicino villaggio a comprare il riso o altro. Pur essendo negato per i lavori manuali, con un po’ di inventiva sono riuscito a rendermi utile in qualche modo. Questo mi dà la certezza che tutti ci possono riuscire.
Ma alla fine, pensandoci bene, potrei trascurare tutto il resto per citare la cosa che da sola riveste un’importanza vitale e per la quale credo di essere particolarmente portato: la trasmissione, la condivisione… insomma il passaggio di conoscenze ed esperienze da una realtà all’altra, come nei casi di Haiti e Cuba, Sudafrica e Perù, Indonesia e Papua N.G. Questo non trascurando le idee che maturano soltanto partecipando attivamente ad ogni attività, idee che hanno permesso in più di un’occasione di risparmiare parecchi soldi. Risparmiare è l’equivalente del trovare nuovi donatori. Un esempio per tutti, la proposta avanzata personalmente a cinque case editrici, di ottenere la fornitura di libri scolastici in forma gratuita, per un gruppo di scuole del Novo Marotinho a Salvador. Iniziativa che è andata a buon fine. Qualcuno ritiene che se fosse partita dagli amministratori locali, non avrebbe avuto lo stesso esito… io non lo so! Ma so che si sono risparmiati un sacco di soldi e che queste idee, sono sicuro, verrebbero spontaneamente a chiunque.
Al termine del periodo in queste organizzazioni no profit, oltre alle foto mi viene richiesto di testimoniare le sensazioni provate con uno scritto, per la pubblicazione sulle loro riviste missionarie o newsletter, sui loro opuscoli o per il loro archivio. Così io scrivo e scrivo, per la gioia degli amici con i quali mi piace condividere queste esperienze. Qualcuno mi maledirà per quanto scrivo e sarei davvero curioso di sapere quanti hanno la pazienza di leggere i miei racconti fino alla fine. E pensare che alcune persone si prendono addirittura la briga di divulgarne molti su internet, o su diversi giornali e riviste. A loro va il mio ringraziamento, perché questa diffusione mi aiuta ad entrare in contatto con altri amici e conoscere così nuove possibili destinazioni.
Un grande abbraccio, Ferruccio.
Un commento molto gratificante di Patrizia, all’epoca giornalista e corrispondente da Buenos Aires per i Lombardi nel Mondo:
“Il nostro Portale ha avuto la fortuna e il piacere di pubblicare in più occasioni le esperienze di volontariato di Ferruccio Brambilla. Instancabile, non sta mai fermo perché sa che c’è sempre qualcosa da fare, da imparare, da condividere e da costruire, ovunque. La nostra stima per lui e per persone come lui è sicuramente infinita. Grazie Fer!”
Patrizia Marcheselli
A volte capita che ti svegli nel cuore della notte, come fosse per un appuntamento. Quando ti rendi conto che sei sveglio non sai subito dove ti trovi, ma sai qual’è il momento che stai vivendo ed è questo che conta. Solo questo. Lo stato d’animo è quello di chi ha appena scritto una poesia o ha appena finito di ascoltare un brano di Miles Davis, perché è riuscito a comprenderne lo spirito. Esci in strada al buio. Non è una strada è un sentiero di terra rossa africana ed è buio pesto e fa tanto freddo o tanto caldo. Non ti guardi in giro ma blocchi la mente perché non vuoi ancora realizzare dove sei. Poi torni a letto, ti lasci andare e pensi a cosa dovrai sperimentare nella giornata che sta per iniziare. In pochi minuti è giorno, il giorno giusto per quello che hai deciso di fare e ti ci butti a capofitto, perché solo così si vive! Per questo giorno non esiste un altro senso, solo questo. (anonimo brianzolo).
Testo e foto di Ferruccio – ferbrambi@gmail.com